17 marzo 2013

"Tre mesi fa" di Nicola D'Ugo



Tre mesi fa
la luna era appesa
sotto l'albero.
Guardata
non guardava
nessuno.

CS, 15 marzo 2013

31 dicembre 2011

"È allora che gli angeli esistono" di Nicola D'Ugo

Roma, 1995(?)


Taci. Squilla il telefono. Lo lasci
squillare. Poi d’improvviso
ti cresce un infante nel grembo.
Scompare. Ti guardi d’intorno
e ti pare di star per andare.
Ti muovi d’intorno e ti par di vedere
un abbaglio. Poi spare.
Vorresti riamare. Passare di fretta
dall’ombre alla luce al colore.
Stai in ombra dalla tua stanza all’ufficio,
dall’ufficio alla stanza.
Ti battono le ore nei polsi.
Sei stanza. Sei stanca. sei stanca.
È allora che gli angeli esistono.

29 marzo 2011

"A quest'ora di notte daccanto m'attesto" di Nicola D'Ugo

Roma, 1993


«A quest'ora, di notte, daccanto m'attesto
a te che mi guidi il pensiero digesto
d'amori antichi e prati lunghi un verde,
ora che l'animo piú non mi morde.

L'acque abbiamo visto disparire e le statue
al fuoco dolce delle mani farsi fatue,
i volti nelle mani farsi visi improvvisi
di delizia, gli occhi chiari sorrisi.

Fatti della materia umana del mondo
siamo certi che dalle vette al profondo
non siamo unici nel dare e avere amore
ma a mutui simili sapremo aprire il cuore.

Noi ci benediciamo ognuno sulla sua via
andando avanti conscî di questa profezia.
Ci scriviamo parole d'amore e d'affetto
ma sappiamo troppo bene il vero precetto.»

Cosí diceva l'uomo a sé sopravvissuto.
Cosí a sé la donna, credendolo muto.

22 marzo 2011

L'uccisione degli autisti (da 'Notizie dalla Bosnia')

Roma 3 luglio 1994


Guardò diritto il piombo della gente,
la folla enorme stretta in quell’inferno;
si seppe morto e non ne seppe niente;
si volle vivo e non si seppe come.
Sotto i fiori bianchi col suo dente
il mostro piccolissimo, detto verme,
gusano, ver, worm, Wurm, o altro stento
marciume delle anime più erme,
si scava fori piccoli, innocenti,
labirinti planetari, viacoli,
condotti, vive di poco, imberbe.
Ma mani coi grilletti per anelli
non v’è pietà che abbiano pel mostro
umano, per il simbolo, i dementi.

Nicola D'Ugo

[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. VIII/1-2, gennaio-febbraio, 1999, p. 22]

La strage del mercato (da 'Notizie dalla Bosnia')

Roma luglio 1994


Morì nell’ora piena del meriggio.
Sangue dovunque e la strada allagata:
decerebrato il cranio, e via il cervello
a pezzi, altrove, giallo e spappolato.
Fu il giorno suo, il giorno del macello,
sangue nel sangue della livida strada.
Nessuno potrà dirgli ciò che è meglio,
se pace vittoriosa o ancora guerra,
fiore fra i fiori in un clima sbagliato,
labbro che non cantava, ma cervello,
braccio, cuore, che ancora palpitava.
Nessuno potrà unire a queste croci
che crescono un sermone di speranza,
né adergersi a patrono solenne,
né in promesse ribaltare il tempo.
Fra i tanti morti si aggiungono questi
morti, senza una causa o un’ideale
che li spingesse lungo le insabbiate
prode, ai limiti del compimento,
ad un passo dall’arrischiato Ade.
Chi uccide altra vita per la vita,
chi fa della sua fede fede altrui,
bestemmia d’ignominia fede e vita,
si crede grande del piccolo che è suo.
Ma chi nell’ora piena di un meriggio
qualunque perde la vita, non giudica
il male altrui, i colpi di mortaio,
gli spari, le assurde fanfaluche
in cui ancora noi ci dibattiamo.
È facile da vivi giudicare i morti,
o nel godimento di un piacere
effimero dimenticare tutto
e tutti, solo con sé riconciliati.
Fu il giorno loro, il giorno della Morte:
strilla inconsce in crani spappolati.

Nicola D'Ugo

[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. VIII/3-4, marzo-aprile, p. 22]

La strage del mercato 2 (da 'Notizie dalla Bosnia')

Roma luglio 1994


Vorrei parlarti, ma dico di te
che morì in un meriggio assolato.
Non hai più sangue: non v’è perché
pei morti nel sangue sbriciolati.

Se avevi un nome tuo, un tuo amore,
ci resta di un morto solo il nome
vuoto, come tu sei in quest’ora
che vedo inane, a pezzi, un cadavere.

“Dio ti benedica insieme a tutti gli altri,”
diranno in molti per ognuno dei morti.
Tu canti forse con tutti i tuoi difetti
in uno spazio in cui son molti i sepolti.

Non ho per te altre parole stasera,
il nome e l’uomo mi sono indifferenti;
ma se la bomba ha brillato per ucciderti
ucciderà altri dopo questo scempio.

Sei stato uno dei tanti, già freddo anche tu,
e molti seguiranno una morte di ghiaccio.
Temevi questo. Svaniva poco a poco,
come svanisce ancora pei vivi, la speranza.

Per questa tua morte, e perché non vengano
altre morti a computarsi con gli zeri,
per questa tua morte, questa sera,
farei levare i cacciabombardieri.

Nicola D'Ugo

[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. VIII/6, giugno 1999, p. 22]

Le voci dentro Sarajevo (da 'Notizie dalla Bosnia')

Roma 13 ottobre 1995


Né dal monte più alto o la più dura
bastia, né dalle più veloci stelle
vengono questi colpi di mortaio
a confinarci. V'è terra, dovunque,
altrove, nello spazio d’infinito
che respira dai suoi bronchi di Veneri
e conchiglie; isole a cavallo
sui mari, a scorrazzare ilari
filari di fenici, a batter ciglio
semivergini pudiche. Non dalla
montagna più alta della pietà
divina, né dal muro più indolente,
di mattone cotto in grembo all’inferno,
né dai più rapidi astri intorno a un perno
vengono a castigarci. Ma dai monti
di fronte, volti umani senza fronte,
non visti, geometri ed ingegneri
invisi dai compagni imbracciano
le armi, s’inchiodano alle macchine,
muovono le leve. Non per me e te,
bambina, sul monte più alto dei
dintorni da cui scendeva la mite
Befana in sordina, vengono questi
spari a radunarci. Le verità
delle fiabe che sapevi da sempre
per sempre se le riprende il monte
astioso, che rugge, infiamma e insanguina.

Nicola D'Ugo

[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. VIII/8, agosto 1999]

Pulizia etnica (da 'Notizie dalla Bosnia')

Roma 18 settembre 1995


Di sera si tace, ché un mare d’incenso
svapora per noi. E le mani non sanno:
non sanno la pena di giorni stranieri
nell’eremo vostro. Cieli girandolano,
spazi si flettono, e suole di terra
hanno occhi per crepe che non vede nessuno.
Fumi si alzano e gonne nel vento
pesano. Labbra che ardono: e non arde
forse di me questo simulacro che teme?
Non sono mai nulla io nel mio impero!

Carovane disegnano i volti, li segnano
di solchi severi. E voi non parlate
che ai vostri compagni di viaggio.
Tacciono i vecchi e i bambini guidati
si accampano. La luna che piega il suo crine
è la stessa di questa che chiama i miei occhi
per voi. Non tacerò, lo prometto, seppure
sia al vento o al compagno che ascolta.
Parlerò per voi senza avvertimento.
Questo solo sapete, che io non vi dico:
qualcuno vi vede lo stesso senz’ali,
ha flebile voce, ma urla e vi dice
compagni nel cuore. Mi volto al compagno
e lo invito: “Proviamoci ancora!”

La notte è più fredda ma il cuore mi dice
nel buio: “Proviamoci ancora!”

Nel buio accendo una luce ch’è chiara e che dice:
“Proviamoci ancora!”

Ancora la voce mi dice nel chiaro di luce
che l’uomo con l’uomo conduce a una luce
in cui infine con gli altri l’idea si traduce:
“Proviamoci ancora! Proviamoci ancora!
Finché c'è vita e speranza di vita
noi lungo una via che appare indecisa,
più forti in accordo a una meta precisa,
uomini e donne, proviamoci ancora!”

“Proviamoci ancora!”

Dài forza al bambino e al ferito…

“Proviamoci ancora!”

Metti al collo la compagna ammalata…

“Proviamoci ancora!”

Di croce in croce che spunta fra i passi…

“Proviamoci ancora!”

Non sia quest’unica vita che abbiamo un trastullo di pazzi,
che gli uomini ammazzi e la morte procacci,
che tratti il corpo umano come stracci
nel vento di strade d’arditi paparazzi.

Qui di sera si tace, e un mare d’incenso svapora per noi.

Nicola D'Ugo

[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. VIII/12, dicembre 1999]

Stanchezza di milite straniero (da 'Notizie dalla Bosnia')

Roma 20 settembre 1995


Non ho che voglia di morire senza
virtù né spari. Risorgere vorrei,
risollevarmi dalla montagna: ridere,
abbracciato, in un attico. Chi dice
che la felicità è un’altezza? È un parigrado
intimo, un tête-а-tête, uno sfogliare di
palpebre e riguardi, l’approfondire,
il ripassare, il soffermarsi sul para-
grafo di un bacio. Un’ora, dieci? Che
importa? Come coi vecchi maestri
afferrati in un libro, per le vesti,
così, tanto per stare insieme e ascoltare.
Un esser pari all’altro, ma senza illusione:
senza la procellosa intrusione del
critico o del lettore occasionale;
senza l’intrusione del medico o dell’amante,
del ginecologo o dell’ex.

Non ho che voglia di morire senza
virtù né spari. Ma risorgere vorrei:
salire sulla montagna e nell’attico
chiudermi con te, mio amore.

Nicola D'Ugo

[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. IX/6, giugno 2000, p. 22]

Il silenzio del vate (da 'Notizie dalla Bosnia')

Reggio Emilia 12 agosto 1995


Quando ritorna dalla guerra il vate
si porta un’amarezza di sconfitte
sfacciate, e non le dice al padre. Tace,
come tacciono le vedette poste
troppo in alto sopra un mondo di fiabe.
Martire di verità che fanno male
pensa a quei martiri in sé stesso, e in pegno
verga pagine come un passatempo
arcano, chiuso nel suo muto sdegno.

Nicola D'Ugo

[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. IX/7-8, luglio-agosto 2000]