13 dicembre 2009

Addio, Amelia

Roma 11 febbraio 1996
Alla memoria di Amelia Rosselli


La tua voce di struzzo o cigno scuoiato.
La ricordo in una serata d’estate:
un volto cimiteriale da una luce atrale
in Aula Quattro, a Villa Mirafiori.
La giustificavi a tuo modo, dicendomi:
“È un difetto gutturale, un’imperfezione fisica,
non una scelta musicale!” Ma non mi bastava.
Sapevo come cantavano le voci piú prossime
agli angeli, gli spettri del Nordeuropa e le falene
dei poeti. Cosí ti dissi: “V’è musica con-
temporanea: un suono non musicale,
un accento stonato, il guizzo deviato e deviato.”


    *    *    *

Poi ti rividi, sempre poco in carne,
in vicolo Savelli, pizzeria Montecarlo.
Ero con la mia amante, che mi chiese poi:
“Chi è?” Parlammo ancora un poco di poesia,
sapendo che ciò che contava era
la vita vera. Ci promettemmo di vederci
ancora, ma Roma promette, inganna,
senza malizia: nella piú completa noncuranza.


    *    *    *

Parlavi di morte. Ti saliva da dentro,
dall’ombre piú solide e compatte.
“Mi truccai da prete della poesia
ma ero morta alla vita”, scrivevi.
Ora s’aggrappa alla finestra il tuo “teschio”,
urla impazzito: “Siamo pazzi, noi siamo
pazzi!” Perché è pazza la vita.
Cosa hai fatto, Amelia, teschio ambulante,
signora? Non hanno piú sangue per te le mie mani,
non hanno piú vita? È la pura follia in cui viviamo:
la cecità dei tuoi occhi mi tolgono peso
e misura, mi riducono al niente che provo
a coprire. Sono insensibile spoglia, morto
vivente, ma mi provo a cantare per niente,
ora che è notte, che per te non piú
“la speranza è un danno forse definitivo”.

Nicola D'Ugo

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[Pubblicata in: Notizie in... Controluce, n. IX/3, marzo 2000, p. 19.]

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