Dodici poesie

Roma novembre 1998


    1. Ponte Sisto

La morte non tocca i morti.
Li sfiora solamente. Sia la fiamma orgasmica
o il lento fluire nel ventre!
Dall’alto lo sguardo si perde sull’abisso.
L’uno nell’altro i visi degli amanti
si fondono in un’ombra sola,
nell’eco di un istante prolisso.


    2. Colonnato di San Pietro

Un’intera foresta di pietra
circonda la tua presenza ninfale.
Una tomba da cui si levano gli spiriti,
un tesoro che barbaglia celato.
Penetreremo a lungo la foresta,
dimenticando il luogo di origine
e i re traditori di una fede.


    3. Fontana di Trevi

La piega che si rotola e contorce,
fa piroette, le cristallizza
in una posa che non si minimizza.
Il seme spontaneo si fissa senza orgasmo,
la voce non dà un grido.
Un intero vulcano erutta le macerie
sul nostro intatto viso.


    4. Palazzo Falconieri

Si muove appena.
Appena appena appena.
Tace da sola.


    5. Palazzo Nuovo

È meno di mezzo millennio
che Michelangelo disegnò questo luogo.
Lo ricorda qualcuno come promessa laica di una fede
che si trasferí nell’urbe e vi dimorò senza pretesa.
La folla che vi passa è meramente una folla.


    6. Santa Maria Maggiore

Ubriaco di sonno e d’alcool
passo talvolta a rimirare
l’aureo splendore di questo luogo.
Una santità si gonfia che mi coglie.
E mi dimentico i martíri degli eretici nei secoli,
e i contemporanei,
il loro ardere e cadere come sudicie foglie.


    7. Tomba di Eurisace

Disillusione, morte di stanche spere.
Addio, addio…: dentro l’architettura assecondata
ad arte! Guardati in faccia   ora,
riconsiderati.
Cerca dentro te la tua morte di marmo.
Dentro v’è fango con fango,
crosta che non ti sfiora neppure la mente.
Semenza gettata coi semi della fornace,
dissipata nella genia. Ma non è niente.
Il fango torna al fango senza emblemi.


    8. Chiesa SS. Pietro e Paolo

Hanno Dio nella bocca
come un miracolo. Invece tacciono nel foro.
Non vi sarà parola di salvezza per loro
negli anatemi irosi dei poeti.


    9. Edificio postale di Via Marmorata

Là, dove s’eleva a tuffo la disassialità del balestruccio,
là, dove petto di rondine e l’aereo volo della mia ecatombe
spaziano nell’aria appena aperta dal giorno,
una prospettiva nuova riga l’occhio di ghiaccio.
Non ci vuole poi tutto un quotidiano strazio
per apprezzarne l’alare dimensione,
la libertà dentro noi che lo guardiamo
col nervo aperto dello sguardo umano.


    10. Museo della Civiltà Romana

Civilitade beffarda. Il recinto dell’ingegno
si seleziona, s’incrocia, s’inserra.
Strane coltivazioni svettano
dai nomi sconosciuti. Risorti autori
nella notte dell’entrostoria posteriore
vagolano in tacchi alti,
o coi sandali antichissimi dei maghi.


    11. Stazione Termini edifici laterali

Hanno assassinato una che conoscevo appena.
Mi disse una volta che avrebbe fatto la festa
al suo compagno fedifrago e all’amante indigesta.
“Con quella bottiglia in mano?”
le chiesi per lenirla. “No, questa la bevo io!”
mi disse barcollante. “Non la spreco in un parapiglia!”


    12. Edificio postale Piazza Bologna

Nel baccello, dentro la grana cellulare
che germina e fa osmosi senza parola sensata,
tutta una trafila che s’infila
come una lama di coltello sul tavolo.
Non assaggiarmi il minestrone
nel mio eremo incorrisposto.
Te lo ripeto. Lasciami da solo.

Nicola D'Ugo

[ puoi scaricare e leggere la poesia nel formato editoriale originale cliccando -> SCARICA PDF ] 

[Pubblicata in: Calendario Lippiello 1999, Roma 1998]